Carissimi fedeli,
in questi giorni in cui sono stato a letto a causa di una brutta laringite, ho avuto più tempo pregare e per pensare.
Nelle ultime settimane sto leggendo la biografia del servo di Dio il cardinale Van Thuan, di cui è in corso il processo di beatificazione.
Durante la persecuzione del regime comunista in Vietnam venne imprigionato per diversi anni, molti dei quali trascorsi in isolamento. Egli racconta che, per non impazzire, in una cella larga un metro e lunga due, l’unica fonte di libertà era cantare gli antichi inni gregoriani che aveva imparato in seminario. Erano un tale aiuto per lui che li impararono anche le guardie che lo accudivano nella prigione.
Prima di essere imprigionato, era molto conosciuto per la sua attività caritatevole nei confronti dei più poveri, ma dopo l’arresto, dovette rinunciare a tutto. Egli riconobbe proprio che “Dio può chiedere a qualcuno di rinunciare alle opere per Lui, ma non chiederà mai a nessuno di rinunciare a Lui”.
In questi giorni di emergenza sanitaria, dove con le ordinanze del governo, molte attività civili e pastorali di aggregazione sono state sospese, mi sembra che trovi terreno fertile l’affermazione del cardinale sopra citata.
Che cosa ci è rimasta come possibilità di movimento? La santa messa e speriamo di continuare a celebrarla con la presenza del popolo. Ci è rimasto, cioè, il sacrificio puro di Cristo con cui poter camminare giorno per giorno.
Io vedo, in questo ritorno all’essenziale, uno dei primi frutti del cammino quaresimale appena iniziato.
Mi sono accorto anche di un altro pericolo : quello di credersi insieme per le opere di Gesù e non, innanzitutto, per Lui che, prima di ogni nostra mossa, ci ha chiamati ed amati. Non possiamo stare insieme per le attività che facciamo perché anch’esse ci sono state tolte per motivi prudenziali, per non accelerare il processo del contagio.
Sono stati temporaneamente sospesi – e non sappiamo come si evolverà la situazione – anche lo sport, la scuola, le feste e le riunioni. Persino i gesti abituali di convivenza come lo stringersi le mani o l’abbraccio sono da evitare. Tutto quello che poche settimane fa sembrava essere scontato oggi non lo è più. Come leggere questi fatti?
Semplicemente ci siamo accorti in tempo brevissimo che tutto è dono, a partire dalla stretta di mano ad un amico o il bacio alla donna o all’uomo che amiamo.
In altre parti del mondo, come la Siria per esempio, alla gente viene tolto ben di più, comprese la vita e la casa dove vivere.
Ma quando tutto crolla come si fa a non lasciarsi trascinare? Che cosa regge l’urto di questi tempi, così impregnati di nichilismo e di paura? L’uomo, cioè ciascuno di noi, è solo una parte di questa realtà destinata ad essere travolta? O siamo di più?
Un po’ di anni fa, ricordo che stavo guardando al telegiornale la notizia di un terremoto che aveva colpito, credo, il sud America. Dopo una settimana i soccorritori erano riusciti a salvare un’anziana donna ultra novantenne la quale, alla domande dei giornalisti su come avesse trascorso il tempo e cosa l’avesse aiutata durante l’attesa, lei rispose così: “Sotto le macerie ho continuato a fare la maglia con i ferri e ho pregato, cose che faccio sempre”.
Quando tutto crolla solo una persona con questa certezza di non essere mai sola rimane salda davanti alla prova. Quella donna ha mostrato al mondo che l’uomo è, prima che rapporto con le cose (studio, lavoro, soldi ecc), relazione con Dio.
Questo tempo di prova può diventare l’occasione per riscoprire questa verità così dimenticata: noi siamo relazione con il Mistero di Dio, non siamo parte di un tutto che quando crolla ci trascina inevitabilmente con sé. Siamo unici e capaci di riconoscere che il nostro cuore ha qualcosa in sé di indistruttibile, perché fondato su ciò che né la tignola, né la ruggine consumano (Mt 6,19).
In questi tempi, cari amici, siamo chiamati a testimoniare la fede non più con le attività pastorali, ma con la pace con cui viviamo il presente che ci è dato.
Preghiamo perché cresca in noi la consapevolezza di “essere di Cristo” e di nessun altro, come diceva il san Gregorio nazianzeno: “Se non fossi tuo, o Cristo, mi sentirei creatura finita”.
A Maria Consolatrice, Patrona della nostra diocesi, ci rivolgiamo per implorare la Grazia di pronunciare il nostro “Eccomi” sempre e dovunque Dio ci chiamerà.
Il vostro parroco don Stefano
Borgaro 8 marzo 2020